Infarto del miocardio (o attacco di cuore).

L’infarto non va confuso con l’angina pectoris, il dolore al petto che si verifica nelle persone con coronaropatia.

Ha le seguenti caratteristiche: è ricorrente, aumenta sotto sforzo, si riduce a riposo e dura solo alcuni minuti. Indica una condizione di ischemia che non arriva ad essere così prolungata da provocare necrosi. Ci sono pazienti che lamentano angina pectoris da ore o giorni fino a mesi o anni prima di un infarto.

Cosa fare se si sospetta un infarto o se si vede una persona che sta avendo un possibile infarto?

Agire in modo tempestivo è fondamentale. Un infarto del miocardio può essere fatale.

1) Chiamare l’assistenza medica d’emergenza (118). Se si ha anche solo un sospetto non bisogna esitare.

2) Assumere nitroglicerina. Se il medico l’ha prescritta.

Tante persone aspettano troppo perché non riconoscono i segni e i sintomi e questo può influenzare la prognosi.

Arrivati in pronto soccorso se ci sono i sintomi tipici di infarto acuto, in particolare il dolore, vengono fatte delle ulteriori indagini per confermare l’ipotesi diagnostica.

Innanzitutto l’elettrocardiogramma (ECG) che può presentare alterazioni suggestive; ad esempio sopraslivellamento del tratto ST, inversione delle onde T, comparsa di onde Q, aritmie.

Poi gli esami del sangue che possono rilevare un aumento dei biomarker cardiaci (in particolare troponina I o T, o CKMB), cioè proteine che vanno in circolo quando le cellule del muscolo cardiaco muoiono.

Il paziente infartuato viene a questo punto sottoposto a monitoraggio elettrocardiografico continuo, gli viene somministrato ossigeno, aspirina e antidolorifici.

Nelle prime ore, l’obiettivo della terapia è riaprire i vasi coronarici occlusi più precocemente possibile, altrimenti la parte di miocardio interessata dall’infarto non è destinata a sopravvivere all’insulto ischemico.

Il trattamento di prima scelta è l’angioplastica coronarica, che consiste nel dilatare la coronaria occlusa dal trombo mediante un “palloncino” inserito con un catetere e nel posizionare uno stent, una retina metallica, che serve a “puntellare” la parete dell’arteria.

In alternativa il paziente può essere trattato con farmaci che servono a sciogliere il trombo (terapia trombolitica), somministrati per via endovenosa.

Una volta che il flusso di sangue al cuore viene ripristinato e la condizione del paziente di stabilizza, viene ricoverato per essere tenuto sotto osservazione.

Lo sforzo fisico e lo shock emotivo stressano il cuore per questo i visitatori sono limitati ai membri della famiglia e agli amici intimi.

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